Della parabola artistica e umana di Van Gogh, mi ha sempre colpito la conclusione. Per farla finita, andò nella campagna di Auvers e si sparò un colpo nel petto. Lo trovarono, lo soccorsero, ma ogni tentativo di salvarlo fu inutile: due giorni dopo morì in ospedale. Aspettò però l’arrivo del fratello Theo per andarsene del tutto, quasi tra le sue braccia. Ora, chiunque abbia familiarità con quella campagna francese, non potrà non pensare alla somiglianza con la celebre tela Campo di grano con voli di corvi. Detto, altrimenti, ciò che della tragica fine di Vincent Van Gogh mi ha sempre colpito è la decisione di andarsi a ammazzare dentro un suo quadro. Per poter tollerare la vita, Van Gogh si era trasferito nell’arte, in quello che tra tutti i traslochi è il più naturale ma estremo, perché non ha via d’uscita.
Il «finanziamento Van Gogh», inteso come il sostegno del fratello Theo a Vincent, è un po’ l’occhio del ciclone di Questa bruma insensata, il romanzo di Enrique Vila-Matas che per coincidenza esce ora in Italia (nella complice traduzione di Elena Liverani) mentre in Spagna viene pubblicato, e molto amato, il suo ultimissimo, Montevideo. Perché dico che il «finanziamento Van Gogh» è l’occhio del ciclone? Perché ci porta in qualche modo nel centro dell’uragano di questo romanzo indiavolato, doloroso, esilarante, bellissimo. Il finanziamento di cui sopra è quello, assai modesto, elargito dal Gran Bros a suo fratello Simon Schneider in cambio di servizi letterari. Gran Bros – il suo nom de plum, Rainer all’anagrafe – e Simon, sono fratelli. Dietro di loro, l’ombra del Padre. Gran Bros è uno scrittore che si è sottratto a tutto, ha lasciato la Catalonia ed è sparito a New York, optando per la leggenda. Si è iscritto alla lista dei Pynchon e dei Salinger, di quelli di cui non vi è testimonianza diretta. Solo diceria, mitologia, e qualche ricordo.
Se Gran Bros è diventato leggenda, questo è avvenuto per via di quel ponte, teso sopra l’Atlantico dal lavoro di suo fratello. Simon, che Rainer chiama walserianamente «l’assistente», è un fornitore di citazioni letterarie. Invia frasi al Gran Bros, e quelle frasi vengono miscelate dentro un’opera singolare, considerata per apparente paradosso «unica» pur essendo intessuta di frasi altrui. Simon si pensa come una «citazione vivente», a volte con felicità altre, e non di rado, con estrema frustrazione. Questa fornitura costante di munizioni letterarie disegna una subordinazione, e il salario è per certi versi più un’umiliazione che un giusto compenso. Rainer è leggenda, Simon semplicemente non è. L’uno sta a New York, in piena mitologia, e manda laconici e sardonici segnali. Simon se ne sta in una casa cadente a Cap Creus, sul baratro dell’oceano, e lancia citazioni in bottiglia, in ottemperanza al «finanziamento Van Gogh». Fa Theo, almeno all’apparenza.
Questa bruma insensata, è, se così si può dire, un concentrato di Vila-Matas. Gran Bros è una variante del Dottor Pasavento, è uno scrittore affetto dal «mal di Montano», ed è un Bartleby, ovvero uno di quelli che hanno detto «no», che hanno deciso di tirarsi fuori dal quadro, di non esistere più, o almeno non esistere per gli altri ma solo per sé. Eppure questo romanzo merita un posto a sé, nell’opera dell’autore di Esploratori dell’abisso e Dublinesque. C’è questo elemento della fratellanza, e della famiglia più in generale che fa sentire un dolore tutto speciale, nel racconto della parabola di Gran Bros e del suo cosiddetto «assistente». È una specie di spina nel fianco del racconto, e illumina uno degli aspetti che più sono propri di Vila-Matas, anche se spesso trascurati. La matrice profondamente esistenziale, quella per cui scrivere è un modo di vivere, e quindi anche di morire.
Simon e Rainer, così come Vincent e Theo, sono due fratelli, cioè sono due persone distinte che però condividono un destino e una condanna nel sangue. Per Vincent, Theo sarà sempre l’alternativa della vita all’arte, il complementare concreto – la terra – al suo dissolversi nella pittura. Theo non riuscirà a salvarlo ma sarà lì, sempre fuori dalla cornice, a tenere la bandiera della vita. Viceversa Simon e Rainer sono simili anche nel loro destino ultimo. Rainer si è dissolto nel Grande Bros, e la sua «energia d’assenza» ha fatto la sua fama letteraria. Ma anche Simon lo ha fatto, si è nascosto dietro le frasi altrui, si è vestito di citazioni così da poter girare invisibile, non visto. Entrambi soli, entrambi a sfuggire la vita e cercarsi nella letteratura, ovvero a cercare nella letteratura uno straccio di senso per la vita. Cioè credere ancora, in maniera ingenua e visionaria, che se riusciamo a concludere una frase scritto, siamo al sicuro. «Tutta la mia vita di colpo sembrava pendere da un inaspettato unico filo che al contempo era il mio unico obiettivo chiaro: riuscire a completare quella frase». Fuori dalla frase, c’è solo l’abisso.
Versión en español del texto de Bajani:
http://enriquevilamatas.com/escritores/escrbajania7.html